IL BRACCIO E LA MENTE


La mia esperienza di vita in Afghanistan e il tennis come "palestra di vita"…

Questa volta desidero parlarvi di un'esperienza vissuta personalmente e che mi darà lo spunto per mostrare alcuni aspetti della vita di tutti i giorni, ma che, chi vive lo sport e si allena, riconoscerà come consueti nell'attività sportiva, spesso sottovalutati.

Come forse diversi di voi sanno, sono appena rientrato in Italia da un'esperienza che, per motivi professionali, mi ha portato in Afghanistan per tre mesi. In qualità di ufficiale farmacista dell'esercito, ho svolto servizio in questo posto "particolare", in una situazione ambientale particolare e soprattutto in un clima sociale insolito. L'esercito italiano è presente, come forse tutti sanno, ad Herat e la presenza della cellula sanitaria (all'interno della quale ero inserito) fondamentalmente si sviluppa in una base militare (una grande caserma), all'interno della quale chi presta servizio vive a contatto diretto (spesso stretto, dovendo trascorrere 24 ore al giorno in pochi metri quadri e in condizioni essenziali) con persone nella maggior parte dei casi appena conosciute (italiane, ma anche di altre nazionalità, anche locali), e con le quali ha la possibilità, se non l'esigenza, di entrare in confidenza e in collaborazione. Sono periodi della vita non troppo lunghi (ma nemmeno troppo brevi)  nei quali chi è lì è portato a vivere situazioni insolite, totalmente diverse da quelle consuete, e per poter "sopravvivere", o meglio "vivere con un certo equilibrio mentale", risulta necessario essere assolutamente disponibili, assolutamente elastici nell'adeguarsi a queste nuove condizioni ambientali e sociali. Sono situazioni che portano a respirare atmosfere diverse, mettendo in un certo senso alla prova l'individuo, consentendo di ampliare le proprie conoscenze, ma anche e soprattutto di conoscere se stessi e di maturare sotto tanti profili.
Mi sono soffermato a descrivere questi aspetti perché l'ingresso in questo "teatro operativo" (è così che noi militari definiamo le zone di intervento in cui operiamo) mi ha ricordato molto da vicino, con le dovute proporzioni, l'esperienza che il tennista si ritrova a vivere ogni qualvolta entra nel circolo in cui si svolge il torneo a cui si è iscritto e ha anche lui la convenienza, se non l'obbligo, di "immergersi" nell'ambiente e nell'atmosfera sociale, agonistica che lo ha portato nella struttura del circolo prima e nel campo da tennis poi, per concentrarsi sul "da fare". Questa abitudine, acquisita con il tennis, mi ha permesso di "inserirmi immediatamente nell'atmosfera della situazione", allontanando e dimenticando le caratteristiche classiche della vita di tutti i giorni, a cui ho dovuto immediatamente rinunciare (iniziando con la rinuncia temporanea alla famiglia e alle amicizie, alla varietà dell'abbigliamento, visto che non ci sono alternative all'uniforme di servizio, per continuare con i rumori del traffico e a tutto quello che per un normale cittadino costituisce la quotidianità). Ebbene, come il tennista fa in occasione degli incontri, ho iniziato a valutare su quali caratteristiche mie personali fare affidamento per affrontare questa situazione nuova, questa nuova sfida; e poi, immediatamente dopo, mi sono preoccupato di inquadrare l'ambiente, conoscere e valutare il carattere e le peculiarità delle diverse persone (diverse nel carattere, nell'età, ecc) con cui avrei dovuto trascorre le mie ore di lavoro e di "svago".
Ne ho conosciute tante di persone ed ognuna ha richiesto da parte mia un atteggiamento differente, adeguato alle diverse caratteristiche individuali. Qualcuna di queste si è mostrata più disponibile, animata dal desiderio e dalla capacità di interloquire e di entrare in confidenza; qualcuna invece ha preferito chiudersi nel suo ambito lavorativo e nella sua camera perché preferiva il silenzio; qualcuna ha tentato di entrare nel gruppo cercando di sopraffare gli altri. Come succede in un incontro di tennis, per ognuna c'è stato bisogno di adeguare le mie caratteristiche al "gioco" dell'interlocutore. Non è stato così difficile come può sembrare e, soprattutto, come in un incontro di tennis, l'attenzione riposta fin dall'inizio nell'affrontare la novità dell'esperienza (la capacità "tennistica" di concentrarmi subito ed iniziare in maniera immediatamente "attivata" la situazione), ha reso fluido e meno traumatico lo sviluppo dell'attività.
Tra le tante persone, poi, che ho conosciuto e ricorderò certamente con molto piacere, una mi ha colpito in maniera particolare. Si tratta del Cappellano Militare, Don Mariano (ne è sempre presente uno nelle varie missioni all'estero). Uomini come lui dovrebbero essere presenti in diversi ambiti! E in qualità di sacerdote, forse, renderebbe più concreti tanti aspetti quotidiani che spesso nelle nostre realtà religiose vengono sottovalutati o interpretati e affrontati in maniera poco costruttiva, poco concreta. Ebbene, don Mariano, con il suo modo diretto di parlare (a volte il suo linguaggio risultava perfino inconsueto per un sacerdote), con la sua libertà e la disponibilità ad affrontare qualunque argomento, con il suo modo di valutare le persone per quello che hanno nel cuore e che sanno esprimere (indipendentemente dal colore della pelle o delle caratteristiche culturali e sessuali), ha dimostrato che la vita va affrontata con umiltà, ma con uno spirito costruttivo, con il desiderio di guardare in faccia la realtà, con il coraggio di affrontare i problemi che la vita ci propone, analizzandoli con senso critico, senza paura dei giudizi degli altri, ma con il rispetto verso gli altri e la consapevolezza di poter dare quello che ognuno di noi sa di avere. Ed è quanto ogni sportivo dovrebbe portare in campo, in allenamento e in partita: umiltà, consapevolezza, determinazione, convinzione e lucidità!
Ora per me inizia il processo all'inverso: il ritorno ai colori, ai rumori, agli affetti. Forse sarà più facile… Mi auguro di non aver creato alcun  turbamento, nè di avervi distratto affrontando argomenti che esulano dal tema che ci interessa in questo ambito. L'intenzione del sottoscritto è esclusivamente quella di ribadire che il tennis (lo sport in generale) è comunque una palestra in cui ci si allena e si matura dal punto di vista sociale, morale, imparando ad affrontare la vita di tutti i giorni. E la vita di tutti i giorni ci mette di fronte a situazioni che molto hanno a che fare con le problematiche che affrontiamo appena entriamo in un campo da tennis. L'importante, spesso, è essere consapevoli di quel che siamo, immergerci nell'atmosfera che andiamo a vivere, analizzare l'ambito che ci vede protagonisti (comprese, nel caso nostro, le capacità del nostro avversario), studiare la strategia valida per raggiungere l'obiettivo che ci siamo prefissati, sia che siamo in partita che in allenamento, e soprattutto credere fermamente in quel che vogliamo, pur senza dimenticare l'umiltà, e il rispetto per gli altri (avversario compreso!).

Buon lavoro!

Giuseppe Giordano

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