IL BRACCIO E LA MENTE


Di fronte all'ansia e gli attacchi di panico il tennis può essere la cura o un ulteriore elemento di stress?

Salve, mia figlia ha diciotto anni e svolge attività agonistica (Terza Categoria). Da alcuni mesi soffre di attacchi di panico e si trova in uno stato di malessere fisico e mentale. Sta facendo un percorso con uno psicoterapeuta e alterna alti e bassi ma sta continuando in qualche modo a giocare: io non sono sicuro che ulteriori stress possano farle bene in questo momento e forse sarebbe meglio aspettare un po'. Vorrei conoscere il suo parere a riguardo. Roberto

Torno anche quest'anno molto volentieri a curare la rubrica che riconosce l'importanza della mente nell'attività sportiva e nella vita quotidiana. Il caso di oggi ci viene proposto da un genitore preoccupato e comunque interessato al miglioramento del proprio figlio nel tennis e nella vita allo stesso tempo. Lo stato fisico e mentale descritti, mi portano sicuramente a consigliare il proseguimento dell'intervento dello specialista, in questo caso uno psicoterapeuta, che possa trattare la situazione da un punto di vista clinico. Volendo affrontare l'argomento, con l'auspicio che la situazione possa risolversi nel più breve tempo possibile e quindi risultare meno preoccupante, mi permetto di fare alcune valutazioni. Innanzitutto desidero confermare che, in questi casi, il percorso di recupero, da affrontare senza eccessiva preoccupazione, va accettato con serenità  e con la consapevolezza di non ambire ad una rapida e immediata soluzione, consapevoli che si possano alternare momenti "si" a momenti "no". In situazioni di questo tipo sono personalmente orientato a concedere all'atleta un momento di pausa dalle gare e da allenamenti intensi e poco adeguati alla situazione di stress e di sfiducia che immancabilmente si associa a periodi di questo tipo. Consiglierei allenamenti un po' più "soft" che mirino al mantenimento della forma, e al recupero di un minimo di fiducia nei propri mezzi.
Come è normale attendersi, in un primo approccio da parte dello specialista, sarà utile cercare di risalire a quelle che possono essere state le cause di questo stato di stress, sia in termini di sensazioni "dirette" (desiderio assillante di raggiungere un obbiettivo in termini di prestazione o di risultato), sia "indotte" (assillo di accontentare l'altrui desiderio, con la preoccupazione di non deludere le aspettative altrui), per poi intervenire a seconda delle circostanze. Il desiderio di migliorare, di progredire è insito in ognuno di noi, negli atleti spesso in maniera particolare. Questa ambizione, a mio parere, andrebbe sempre tenuta sotto controllo, in termini fisiologici, fisici nonchè mentali. Molto spesso l'intervento del Mental Coach, che accompagna nel suo percorso l'atleta, è finalizzato proprio a curare questi aspetti, definendo con lui gli obiettivi, la strategia e i tempi per raggiungerli, senza mai rinunciare alla costante e periodica verifica dei vari steps raggiunti, allo scopo di valutare la conferma o la ridefinizione dei vari traguardi. Questa costante analisi dello sviluppo del percorso, associata ad una adeguata scelta e conseguente valutazione degli obiettivi, favorisce molte volte una riduzione dello stato di ansia e di stress. Nella mia esperienza mi è capitato, tra l'altro, di dover affrontare momenti critici in cui l'atleta rimaneva sorpreso e deluso del fatto di "non progredire" ulteriormente, rifiutandosi di accettare quello che io definisco il "momento di autovalutazione dinamica e di consolidamento", rischiando di entrare in crisi e in confusione. Mi spiego: un veloce e continuo miglioramento della performance o della classifica può, ad un certo punto, essere interrotto da una fase di stallo apparente, nella quale l'atleta non assiste più a ulteriori miglioramenti. Questo avviene perchè fisiologicamente e mentalmente l'atleta non risponde più agli ulteriori stimoli in quanto non più adeguati al proprio stato. L'atleta rischia così di entrare in crisi e di innervosirsi (se questo accade non all'atleta ma al suo entourage risulta anche peggio…). Per evitare questo consiglio di curare l'aspetto, cui accennavo prima, della verifica costante del proprio lavoro e di quanto si stia producendo. Consiglio sempre, in questi casi, ma anche prima che si raggiungano questi limiti, di fermarsi un attimo per appropriarsi del proprio nuovo stato, delle proprie nuove capacità, per darsi una nuova valutazione, imparare a conoscersi in questa nuova veste e formulare nuove prospettive. Chiunque proceda in un cammino trae beneficio da una pausa che dia ristoro ma al tempo stesso che renda consapevoli ed entusiasti del risultato ottenuto fino ad allora, traendo da questa consapevolezza nuovi stimoli.
Il mio consiglio è quindi quello di lavorare per migliorarsi, certamente, ma con la consapevolezza che ognuno ha capacità fisiche, tecniche e mentali individuali, che vanno conosciute, valutate, verificate e rispettate. Gli obiettivi e la conseguente mole di lavoro vanno sempre attagliati all'individuo! Così come i risultati positivi e negativi devono essere oggetto di opportuna valutazione per scoprire i propri meriti e i propri limiti su cui andare a lavorare.

Buon lavoro!

Giuseppe Giordano

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